Questione lavoro: la situazione eccezionale dell’Italia
In Italia la questione legata al lavoro è una situazione eccezionale.
Prova ne è che agli ultimi dati postivi di un´occupazione cresciuta di circa un milione di lavoratori attivi in tre anni e mezzo (come indicato in un articolo di Federico Fubini pubblicato sul Corriere della Sera il 31 Agosto 2017), non ci sono né grida di vittoria né entusiasmi particolari.
I motivi di queste nostre enormi difficoltà sono noti: un mix micidiale di problemi strutturali – ben precedenti alla crisi del 2008 che sta per compiere dieci anni – e che non condividiamo con altre nazioni avanzate e problemi congiunturali che sia per altri che per noi stanno quasi per finire.
Con l´unica differenza che mentre gli altri paesi si stanno progressivamente liberando dalle sabbie mobili noi continuiamo ad esserne bloccati.
Dicevamo problemi strutturali e problemi congiunturali.
Per i primi, abbiamo il nostro debito pubblico che ci portiamo dietro da anni. Per il mondo del lavoro in senso più stretto, nonostante un diritto allo studio difeso con le unghie e con i denti dai giovani e dalle sentenze dei tribunali, continuiamo a fornire troppo pochi giovani formati al mercato del lavoro.
Federico Fubini, nello stesso articolo che segna il ritorno dalle ferie, ci ricorda di un nostro primato europeo negativo. “Anche fra i giovani fino a 34 anni, (l´Italia) resta il paese con la quota più bassa di laureati sul complesso della popolazione”. Questo significa che abbiamo molti cittadini che sono teoricamente in un’età attiva che il mondo del lavoro non può assorbire. Questo è un problema grave.
Poi, non dimentichiamo che il problema del lavoro in Italia non consiste solo – aspetto strutturale – nel far fronte alla domanda di più laureati, ma anche nel dover accontentare Industria 4.0 che ci chiede più lavoratori tecnici specializzati e che vengano formati direttamente all´interno delle aziende.
Per andare avanti nelle questioni strutturali, pur facendo molto meglio dei francesi (che sono pertanto costretti a puntare sul turismo che ormai pesa il 7,5% del PIL), il nostro commercio estero (con un saldo positivo nel 2015 di più 45 miliardi di euro rispetto al meno 46 miliardi della Francia) rimane una leva della quale non ci serviamo ancora a sufficienza per trovare delle soluzioni per aumentare l´occupazione “in casa”.
La scarsa internazionalizzazione delle aziende italiane è un problema strutturale al quale dobbiamo trovare rapidamente una soluzione, anche perché adesso si tratta di un fenomeno che ha cominciato a colpire le start up. Per quanto riguarda queste ultime, infatti, siamo finalmente riusciti a farle aumentare di numero, ma adesso arrancano con l´accesso al mercato soprattutto internazionale.
La trasformazione dei modelli economici (e-trasformation) che oggi influenza in modo straordinario e profondo la nostra vita quotidiana, non ci ha visti rispondere adeguatamente a questa sfida. La digitalizzazione del mondo quotidiano ma soprattutto dell´economia ci ha messo davanti ad un mondo completamente nuovo che abbiamo l´obbligo di affrontare.
La senilizzazione della società ci pone di fronte ad una nuova realtà. Persone che escono dal mondo lavorativo ma che continuano ad essere attive, che hanno un reddito che possono spendere ma che pesano anche in maniera importante sul sistema sanitario nazionale, rappresentano questioni che dobbiamo affrontare da un punto di vista dell´alimentazione, della sanità, della tecnologia, delle infrastrutture, di trasporto e altri settori tradizionali e nuovi a venire.
Gli effetti congiunturali della crisi sono quasi finiti e nel frattempo il mondo continua a correre. Insieme all’effetto congiunturale della crisi sta per finire, con questo – per noi – anche le scuse per non agire. Soprattutto adesso, che gli altri ripartiranno, bisognerà di nuovo affrontare la solita questione che ci ponevamo negli anni Novanta.
Perché l´Italia non cresce ?
La risposta sta nel trovare nuove strade per adeguare il nostro mondo del lavoro al mondo completamente nuovo nel quale ci troviamo oggi.
Basti pensare alle Marche dove nell’anno di immatricolazione 2013/2014 erano iscritte più donne che uomini, con una differenza di circa 5.000 iscritte in più. Che ne sarà di loro se non puntiamo in modo deciso e strategico all’imprenditoria femminile sapendo fin d’ora che, oltre ad una retribuzione mediamente più bassa, l’altra metà del cielo marchigiano è costretta ad affrontare maggiori barriere all’entrata nel mondo del lavoro?
Questo significa trovare nuove soluzioni a vecchi problemi di cui abbiamo parlato in articoli precedenti, senza dimenticare che l´Italia è un paese che ha tutte le carte in regola per rimanere tra le prime economie del mondo, ma soprattutto per essere un paese capace di trovare delle soluzioni a problemi che ci hanno sempre contraddistinsi come un “paese eccezionale”.