La situazione nella quale versa l’Italia dopo l’epidemia Covid-19 è drammatica. Le fabbriche sono ferme, la minaccia di una disoccupazione di lungo termine è diventata reale.
Abbiamo preso coscienza di nuovi problemi, come la difficoltà ad organizzare classi di alunni a causa di una scarsa digitalizzazione nelle nostre case.
In tutto questo marasma, rimangono tuttavia altre vecchie sfide che dobbiamo affrontare.
La paura delle conseguenze della maternità, i vari luoghi comuni sulle differenze tra i sessi non possono più continuare ad essere scuse per impedire alle donne di accedere al mondo del lavoro, di ottenere lo stesso salario a parità di mansione svolta, oppure di aspirare o di guadagnare posizioni di leadership. Pericoli ai quali sono concretamente esposte le donne in Italia, che spiegano anche in parte la scelta di alcune di optare per studi che rischiano di non portare a buone remunerazioni o che ostacolano gerarchie. Tuttavia – e per fortuna – esistono anche eccezioni, perché negli ultimi anni il numero di donne iscritte nelle facoltà supera quello degli uomini.
Questo significa che il sistema economico e sociale si deve organizzare già da oggi per accogliere le future laureate nel mondo del lavoro. Non solo per favorire l’accesso di un numero più elevato di donne, ma anche per dare possibilità di fare carriere con colleghi uomini culturalmente aperti ad accettare e favorire tale cambiamento.
Abbiamo bisogno dell’altra metà del cielo marchigiano per creare uno sviluppo senza frattura. Non abbiamo bisogno soltanto di uomini, ma anche di donne “necessarie” per affrontare un futuro che punta alla riconversione del sistema industriale marchigiano.
Questa crisi sanitaria ci ha palesemente dimostrato che possiamo cambiare rapidamente e trovare nuovi modi per esercitare le nostre attività.
E alcuni dati delle Marche parlano chiaro: nell’anno accademico di immatricolazione 2018/2019 nei 4 atenei marchigiani risultano iscritte oltre 6.000 donne in più rispetto ai colleghi uomini (26.325 donne, 19.794 uomini). Di queste quante sono orientate verso percorsi STEM? Per quanto riguarda, invece, il tasso di occupazione per genere nel VI trimestre 2019 quello maschile (72,8%) risulta più elevato di quello femminile pari al 57,7% (fonte dati Ufficio statistica regionale su dati Istat). E ancora oggi, i lavori meno qualificati, i contratti precari e le posizioni subalterne vedono le donne affollare quelle posizioni.
Per ottenere questa rivoluzione – l’ingresso massiccio delle donne nel mondo del lavoro e nel nostro sistema economico-industriale – servono cambiamenti profondi e misure che una moltitudine di attori dovrà adottare.
Tra i primi a dover fare qualcosa ci sono le autorità pubbliche. In questo senso, prevedere il congedo di paternità anche per gli uomini è stata una giusta e saggia decisione.
Poi ci sono le imprese. Queste hanno il dovere di comunicare in modo chiaro oppure di mettere concretamente in atto politiche di non discriminazione. Inoltre, possono anche mettere in piedi iniziative per accompagnare le donne nel loro percorso lavorativo all’interno delle imprese, favorendo così anche il loro ingresso nelle gerarchie.
Dai primi scioperi all’inizio del XX secolo, l’uguaglianza tra uomo e donna resta ancora da completare.
Quali sono le maggiori difficoltà di questa sfida? Certamente mentalità, tradizioni tradotte in legge, visto che non viviamo più nell’epoca nella quale “il marito deve protezione alla moglie e quest’ultima deve ubbidienza al proprio marito”. Ma esiste anche la seria difficoltà di attirare gli uomini verso questa lotta, che non è da percepire come indirizzata contro di loro. Senza la loro attiva partecipazione, risultati reali e tangibili di questa lotta sono destinati ad essere spinti sempre più in là nel futuro.
Esiste invece un altro vincolo importante.
Visto che viviamo in tempi di pace da molto tempo ormai, è richiesto un impegno maggiore rispetto agli automatismi provocati da una società in guerra. In questo caso, è importante – addirittura essenziale – capire bene che servono altri sforzi per far comprendere ed accettare ragioni e motivazioni della necessità di cambiare.
Ci sono segnali positivi? Certamente sì, perché il XXI secolo per le donne è l’era dell’inclusione e di una maggiore meritocrazia che non deve significare complementarità rispetto agli uomini ma vera uguaglianza. Dobbiamo trascinarci in avanti su questa strada, senza lasciare dietro la questione della violenza sulle donne, aumentata in questi periodi di confinamento nelle case.
Per questo motivo, in questa lotta, non ci vuole solo un maggiore impegno per arrivare ad un traguardo in vista. Ci vuole molto altruismo ma anche il massimo coinvolgimento degli uomini, molta creatività e tanta fantasia.